La cipria e la sua storia

La cipria? E’ un classico del make-up.  “Incipriarsi il naso” è un gesto semplice ma evocativo, un rituale che si ripete immutato da secoli, senza perdere il suo fascino.

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La cipria e le sue origini

Il suo profumo ci riporta all’infanzia: rievoca alla mente il bacio della nonna, l’odore dei bauli pieni di biancheria, i vestiti della mamma provati per gioco nei pomeriggi di pioggia, anche se parliamo di un emblema di seduzione e femminilità. La cipria infatti è da sempre considerato il più taumaturgico degli strumenti di bellezza, capace di donare in un sol tocco splendore al viso; illuminando la pelle e cancellando segni indesiderati. La sua origine è antichissima, tanto che se decidessimo di tarare la macchina del tempo puntando l’ago verso epoche remote ci imbatteremmo senza dubbio in una donna che si cosparge un velo di polvere miracolosa.

Pare che la cipria  fosse utilizzata già nell’antico Egitto, tra i Sumeri, e persino in Grecia e che, forse, sia di origine cinese. D’altra parte dall’antichità e fino al diciannovesimo secolo, salvo qualche breve periodo, la pelle chiara nelle donne era considerato requisito di bellezza fondamentale. Ci fu un tempo poi in cui uomini e donne condivisero questo cosmetico di bellezza. Un tempo, in cui il candore dei capelli, resi tali da cospicui quantitativi di cipria, era considerato sinonimo di classe, aristocrazia, eleganza, appartenenza agli ambienti di corte. Un tempo in cui il galateo consentiva alle dame di imbiancarsi di “poudre” anche a tavola, usando preziosissimi piumini di cigno o marabù.

Nel periodo rinascimentale, Molière beffeggiava le donne che, ossessionate dalla bellezza, si ricoprivano con generose dosi di cipria tanto da sembrare la caricatura di loro stesse. Con la caduta delle aristocrazie il suo uso venne drasticamente ridotto perché considerata simbolo del vecchio potere nobiliare che si voleva sradicare. Ma vanità e frivolezza fervono nell’animo dell’uomo, ed ecco che essa ritorna racchiusa in contenitori di pregio di varie forme e materiali, sapientemente decorati. Anche il Parini ne fa cenno nel suo poema il “Giorno” con la favola della cipria, in cui si narra che un velo di polvere bianca discese dal cielo per ingrigire i giovani e levigare il volto dei vecchi in modo da renderli tutti uguali.

Immancabile anche nella più piccola delle borse, indispensabile per fissare il trucco, il suo uso è da sempre considerato segno di seduzione, e anche se sono in tanti a proporla è quella di T LeClerc, che vanta i più antichi natali. Il farmacista parigino, sviluppò nel 1881 una formula segreta per la composizione della cipria. Una polvere dalla morbidezza incomparabile, che declinò in diversi colori e che divenne un must di eleganza per il maquillage della Bella Epoque. Nel corso dei decenni il marchio divenne il più amato dal mondo della moda e dello spettacolo. E per chi vuole approfondire il tema il Museo della Cipria, a Torino, all’interno della boutique Olfattorio, dove è possibile ammirare una collezione di oltre cento esemplari di packaging dal 1800 ai giorni nostri; scrigni preziosi dalle forme e materiali diversi.

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